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Domenica, 7 Marzo 2021

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La Prima Alba

Racconti di gioventù
"LA PRIMA ALBA"

La luna è ancora alta e le stelle, sopra le nostre teste, risplendono mentre scendiamo verso il lago. Al nostro passaggio i cani della Maccana abbaiano mentre dai Due Pini una civetta lancia stridule grida.
La discesa è deserta e l’ultimo tratto è immerso in un buio profondo. Attraversiamo la Provinciale, il fanalino della bicicletta non riesce a illuminare le buche del viottolo che conduce al lago. 
Un allocco grida in lontananza facendo eco ad altri richiami.
Man mano che procediamo le dita di Francesca si stringono sempre più ai miei fianchi. Mentre cerco di spingere la bici più forte possibile, la sento tremare. La immagino: occhi chiusi, cuore palpitante.
Finalmente giungiamo alla riva; nascondo la bici tra le canne e, dopo qualche insistenza, riesco a far salire Francesca in barca.
Fuori, il lago aperto, le darà maggiore tranquillità. 
Cerco di destreggiarmi per uscire dal canale zeppo di oggetti indecifrabili.
Le luci dei paesi che salgono verso il Sacro Monte assomigliano a lampadine di un gigantesco albero di Natale e la barca, avanzando sulle leggere onde, ne rompe i riflessi che, partendo dalla Schiranna, tremolanti cercano di attraversare il lago.
Francesca, seduta sul fondo, aggrappata alle fiancate della barca, mi sussurra di andarle vicino. Ritiro i remi e le siedo accanto.
Con qualche bacio e carezza cerco di dare calore a parole d’incoraggiamento.
Un ammasso di canne, terra e radici, come una nuvola scura, ci corre incontro cullandosi sull’acqua.
Un barlume sopra Varese ci distoglie dall’abbraccio.
Le stelle cominciano a spegnersi a una a una mentre la luna diventa sempre più pallida. Le luci, prima allungate, cominciano a ritirarsi verso riva. Ecco già si vedono i profili dei monti.
A riva, tra le canne, risuonano voci di animali lacustri.
La luce, a est, diventa sempre più marcata e come una macchia d’olio si spande verso il centro del cielo.
Sopra le nostre teste, un’ombra lunga: è una pattuglia di germane… seguendole in volo scopriamo, a ovest, un monte che, apparendo a poco a poco, si tinge di rosa.
Il tempo di scambiarci un bacio e uno spicchio giallo spunta dalla parte opposta allargandosi e arrotondandosi.
Sembra di essere in un grande anfiteatro: il sole lo illumina e i paesi, le colline, i monti sono gli spettatori… Francesca è nel centro ed io… in lei.
Mi stringe, mi dice parole…
E’ la prima volta.

alba-small

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Ricordo un'Estate

…da “Racconti di gioventù e di lago”
RICORDO UN’ESTATE

Il sole trascolora all’orizzonte come un fuoco che a poco a poco si spegne lanciando sulle pareti del camino gli ultimi bagliori di un’ora di caldo; dal lago sale uno sciacquio che copre le ombre: prima s’allungano, poi immobili attendono il buio, domani avranno ancora ore di sole con cui giocare.
Il bosco lancia gli ultimi saluti all’accendersi delle luminarie sui pendii e allo spegnersi del giorno.
Tuffando i piedi nell’acqua guardo i sogni sostare in cerchi che slargandosi si perdono tremolando nel lago blu.
Stridono rondini e storni posandosi tra le canne, poi s’alzano a stormo, girano al largo, puntano lontano verso il sole che, giocando fra le cime, manda gli ultimi lampi a incendiare le vetrate di una città che si prepara al silenzio.
Al davanzale della finestra Francesca, visto il segnale, col profumo di glicine negli occhi si acconcia i capelli imbevuti di gioventù e come le rondini scende verso il lago; sento il suo arrivo quando svolano garrendo piegando le canne come al vento di novembre.
Gracidano rane in concerto mentre brilla negli occhi la certezza di un dolce incontro.
Il contadino col suo carro lascia i prati della Madonnina; rimane un odore di fieno acceso da lucciole d’argento.
Il campanone chiama al saluto dell’Ave altre campane; s’aggiungono finestre sulle colline chiamandosi a raccolta: a gruppi disegnano borghi che tracciano sul versante ineguali file di brillanti. 
Cogliamo diamanti neri di more mentre leggeri pipistrelli ci sfiorano inebriandosi di moscerini, zanzare e della vicina oscurità.
Ci abbracciamo buttando alle spalle il passato parlando del domani; un campo di grano punteggiato di fiordalisi e papaveri ci attende.
Guardinga spunta la luna tra gli alti pioppi, ci saluta accarezzando il sogno d’una notte d’amore.
Ci fa sorridere l’idea d’attraversare il lago come farfalle notturne che si alzano simili ad aquiloni dal campo giallo-rosso-blu.
Una fresca brezza accompagna la sera mentre scende una carezza che intride d’umidità i nostri capelli scomposti da dolci effusioni.
Cogliamo fiordalisi tenendoci per mano e ammicchiamo alle stelle che, prima pallide, prendono ora un po’ di colore quasi fosse un bicchiere di vino a scaldarle dentro.
Spighe d’oro s’intrecciano e sfilano al nostro passaggio nella certezza di essere domani pane per una tavola felice.
I fari lanciati dalla provinciale tagliano i pioppi, illuminano i prati e come petali staccati dal vento ci tolgono dal dolce incanto: è ora di tornare.
Saliamo tra il verde e mucchi di fieno verso la Cascina Fiori. Mugghiano vacche e manzi al suono di campanacci; grida il contadino il silenzio ai cani mentre cogliamo da piante di pesco acerbi frutti di una estate ancora in fiore.
Imbocchiamo la salita; voci nelle case, musiche, angoli silenziosi, tende alzate a carpire l’ultima luce e godere un po’ di frescura; gente discorre seduta sotto porticati nel colore di gerani scarlatti, alla musica dei grilli, al grido dei bambini che giocano a nascondino consumando le ultime energie di un giorno che ha finito ormai il suo tempo.
File di lampioni ci accompagnano verso casa.
* * *
Un’altra ora di ricordi lascerà una traccia; questa giovinezza, a volte, ritorna come un sogno a cui appendere l’estate della vita nell’attesa di un autunno con il freddo dell’inverno alle porte.

 

 

estate-piccola

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i furbi (fine)

…dal mè libar “I balóss” - I cinch stèll

Ul sólit cartèll al diséva: “Sabat che vegn specialità du la Cà: LEGURA IN SALMÌ. Legura dul Sud… da pruà!”.

Quaivün l’avéva änca tentaa da disegnà a fiänch ’na legura ma fórsi l’avéva mäi vista da visìn!

Da utûbar inänz a partìva la cacia ai legur… da tecc!

Ul Rizadìn e ul Bistéca, sü indicaziûn dul Lisändar, a ligävan ’na gata in calûr a un pilàstar, a ’na piänta, a ’na red e speciävan i mas’c… lì l’enträva in cämp lü cunt un s’ciupett a balitt - fórsi un növ - e al sistemäva la facènda.

I gatt metüü in aqua curènt, dópu un pära da setimàn, sa trasfurmävan in legur du la Sila… e, a dita da tücc i Cliènt, evan dabûn ’na specialità… ma quänti balitt, giô là stävan mìa a guardà: a sparävan da brütt!

Po’ gh’evan i pasaritt, o mèrli o picitt da tütt i tipi - cataa in mila manér dai düü bamba - impienii da panscéta o lärd e fai in ümid cun la pulènta.

Un ältar piatt fórt dul sit evan i viscärd a la grapa - pudévan vèss änca sturnèi, turdinn e tücc i üsèi che vugävan inséma - sèmpar cun la pulènta… questi sì che ta fasévan vidé ul Paradìs!

Ul maèstar l’eva sèmpar ul Lisändar.

Al catäva ul misto-püi, quell fai in cà dal Sènza-Bärba, la faséva büì nu la grapa, änca lee faia in cà e po’ la spantegäva süi praa, al lägh. Quänd, a la sira, rivävan i viscärd, nul vidé quel bèn da Diu, sa bütävan sü la pastüra, sa riempìvan ul góss… a catävan la cióca e vultävan là.

Alûra l’eva ul mumènt dul Bistéca e dul Rizadìn. I a catävan sü ’me peer märsc, ghe sturgévan ul cóll e i metévan nul sacch… M’evan buni in ümid cun la pulènta: a la Traturìa ghe fasévan guadagnà trii stèll!

La quärta stèla la Traturìa la catäva cun la fritüra da pess pèrsich o mei da gubìn; i ran fritt; i lümägh cunt i spinazz o i fung trifulaa, róba da sciuri: quii cunt i danee perô!

La quinta… beh, la quinta stèla l’eva mäi rivaa…

Un sabat sira gh’evan a scena tücc i Primäri du l’Uspedäl da Varés: la sólita pulènta e legura du la Sila. In Traturìa gh’eva un grän fermènt, ul Sènza-Bärba l’eva föra dai strasc da la cuntentéza… finalmènt un ricunuscimènt sura ógni riga.

Al Lisändar, ciócch ’me ’na vaca, ga s’impastäva la lèngua, alûra l’avéva metüü la dentéra sü la madia in cüsìna… I düü bamba, che pasävan sèmpar par l’asagg, vista la manéra da pudé catà pal cüü ul grän maèstar g’avévan mìa pensaa dô vólt e avévan bütaa la dentéra nul salmì…

I lüminäri avévan trascûrs tüta la sira a discurr e a la fin evan rivaa a la cunclüsiûn che i dutûr dul Sud evan püsee inänz: ga metévan già la ‘protesi’ ai legur…

Tüta culpa dul vin dul Sènza-Bärba: trópp bun!

ul mago

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Sull'Isola

"...attratto dal tuo amore / spinto dal tuo amore / sono sempre alla ricerca di te // un'anima di mare / mi unisce a te // con te sarebbe bello / camminare sin dentro il mare / e svanire nel blu..."

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Primo Maggio

...dal volumetto di prossima pubblicazione "Francesca"

(Il primo maggio) - Il primo maggio era la più attesa ricorrenza di primavera: in una radura, tra castani e pini, la rossa Torre ci attendeva per festeggiare l’imminente estate e i lavoratori.
Si saliva a piedi nel primo pomeriggio. Già l’altoparlante intonava 'Bandiera rossa' mentre la nostra riscossa si fermava al fontanino a metà costa; ci si buttava acqua in faccia e s’iniziava a guardare giù: via Veneto, l’oratorio, la Chiesa, il campanile con lo sfondo del Sacro Monte e il Campo dei Fiori.
Vi era chi saliva dalla scalinata del Geni; chi arrivava da Erbamolle; chi dalla strada che, con ripidi tornanti, dal paese portava sino alla cima. Tutti si univano e facevano festa. Tanti cantavano: “Sotto la gronda della torre antica, rondinella amica, tutti gli anni alla stessa data…”.
La Torre era là, avvolta alla base, d’edera: a noi sembrava altissima; ricordo di aver visto nessuno affacciato alla sua ringhiera.
Mio padre al tavolo con gli amici cantava 'Ohi Marì': c’erano tutti, li ho negli occhi… era bello vederli, sentirli cantare, dimentichi del lavoro, delle preoccupazioni… sotto i pini sugli aghi ci sedevamo e li ascoltavamo estasiati…
Panini, birre, gassose sfilavano davanti ai nostri occhi di perenni affamati mentre nell’aria cominciava a spandersi il profumo di Manduria, Basilicata, Rionero, vini forti, pesanti, scuri: su assi, panchine e tavoli traballanti macchiavano bianche camice, rosse cravatte e giacche primaverili. 
C’era chi discuteva animatamente, chi ascoltava, chi come noi cercava il punto più alto.
Ricordo che chiamavamo i paesi della valle a cantilena, additandoli: Cazzago/Lissago, Bodio Lomnago/Capolago, Buguggiate/Bobbiate, Galliate/Calcinate, Azzate/Gavirate, Daverio/Comerio, Vegonno/Castronno, Bardello/Groppello, Castello/Brunello… ultima sempre la Schiranna, perchè non conoscevamo altra rima che Maccana ma da lassù non si vedeva. Tutto il nostro mondo era racchiuso in quei nomi… tutto lo abbracciavamo quel giorno!
Nel segnarne le bellezze indicavamo i campanili; vi era sempre chi non sapeva distinguerli, chi li vedeva per la prima volta, o chi, dalla cima di una pianta, assicurava di vedere il Lago Maggiore: ci credevamo… eravamo troppo in alto per non vederlo!
A mezzo pomeriggio arrivava il cantante, acclamato, esordiva: 'La neve ch’ha coperto la valle in fiore si scioglierà al calor del nostro amore'… Canzoni romantiche si susseguivano a richiesta, interrotte da applausi, da grida, da canterini che si ergevano traballanti, alzando il bicchiere con gli occhi lucidi, la camicia fuori ma felici dentro.

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