Su di me hanno scritto
«Semplicità è la chiave di lettura e di ascolto della parola di Giorgio Sassi, poeta per necessità, per solitudine, per lavoro, per distrazione… Cresciuto tra i boschi e i giardini sconosciuti di questi laghi e di queste colline varesine in periodi ormai lontani, di silenzio e di “altra necessità”...
Così il luogo di esercitazione poetica è stato per bisogno involontario il focolare, il circolo operaio, la strada, i vicoli di paese, la chiesa… Cose d’altri tempi!...
E parole leggere come musica, che arrivano ancora di lontano dalle colline, in una sera d’estate». (L.S.)
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«E questo, per dirti che riesci spesso ad essere originale, come espressività, pur in una immediatezza e semplicità di immagini…
In ogni caso scrivere non è mai inutile; e fare il passo successivo, cioè scrivere e pubblicare ciò che si è scritto, richiede un lavoro “interiore” di ri-considerazione della propria esperienza, di discernimento tra ciò che è “passato” e ciò che resta ancora in noi a vivificarci e a cambiarci…». (M.L.)
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«Arrivano da lontano, i racconti di Giorgio Sassi, da un’epoca in cui la fame faceva le facce più spigolose e però aguzzava l’ingegno. Passata la guerra, la vita ricominciava con un piglio più fiducioso.
Ma questi racconti arrivano, anche per me, da un tempo in cui le parole cominciavano appena a significare…
Il dialetto non dà soltanto una patina antica, come si potrebbe pensare, ma gioca a paragonare il passato con il presente, è vivo e dinamico: traduce “èscort” con “dóna da espurtaziûn”, inventa una “Sucietà ’nónima”, si fa scoppiettante nei proverbi («ógni óm al g’ha bisógn d’una dóna parchè al pô mìa dägh tütt i culp al Guvèrnu») e ironico nell’imitazione del latino («gratiss e a more Dèi»)…
Questi racconti, che andrebbero letti ad alta voce, sono un caleidoscopio di storie, scritte oggi ma testimoni di un’epoca in cui forse c’era più spazio per la fantasia...». (A.F.)